Esperienze

Quella che state per leggere è la prima parte di un racconto scritto da uno dei miei “pupilli”, del suo viaggio attraverso l’allenamento, cominciato fuori, ma finito dentro una palestra ed in particolare, sotto la mia guida. Non ha un fine particolare, diciamo educativo, come altri articoli del mio sito. Racconta una storia, una bella storia e a me è piaciuto molto. Spero piaccia anche a voi.

Buona lettura.

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By Lorenzo Bruni

L’allenamento è una cosa seria, c’è poco da fare.

Venivo dalla corsa, tanto cuore, tanto sudore, chilometri sulle gambe, tante endorfine in circolo, una buona resistenza aerobica e qualche garetta podistica all’attivo. Una fisicità magra (forse eccessivamente) e una panchetta per fare gli addominali in camera. Si corre cinque volte a settimana, all’aria aperta e in gruppo (un bel gruppo, ora che ci ripenso), anche facendo allenamenti lunghi e tempi in pista, soprattutto a Bastia.

Mai vista una sala pesi in vita mia, solo suggestioni provenienti da racconti di amici. Coltivo lo stereotipo che allenamento con sovraccarichi sia sinonimo di perdita di agilità e di crescita muscolare spropositata, non solo disfunzionale all’attività, ma anche proiezione estetica che non esercita su di me alcuna fascinazione e che anzi affronto con quel pizzico di sarcasmo tipico del runner, fiero della suo essere longilineo.

Continuano le sedute di running, ancora diversificate e ancora appaganti e divertenti. Inizia però a prendere piede la sensazione, più che una esigenza tecnicamente definita, di restituire solidità alla parte superiore del corpo e di potenziare gli arti inferiori.

La perplessità è molta, la rappresentazione della palestra come luogo chiuso, inospitale, pieno di energumeni incapaci di facoltà razionali è ben consolidata dentro me. Per me il concetto di movimento si risolve in battiti elevati e smaltimento di tossine all’aria aperta.

Opto dunque per un compromesso: una soluzione mediamente commerciale – questo il ragionamento che faccio – mi metterebbe al riparo da quel tipo di eccessi che nella mia rappresentazione mentale associo all’ambiente pesistico. Mi informo e vedo che il prezzo da corrispondere non è eccessivamente più elevato di quello da pagare per accedere ad una sala pesi di piccole dimensioni.

Nei primissimi giorni faccio soltanto ciò con cui avevo già dimestichezza, ovvero tantissimi addominali e poco, se non niente, di altro.

Il passaggio successivo è l’approccio con le macchine. Approccio con le macchine significa fare tutte le macchine in pura sequenza “non-sense”.

L’ulteriore step è l’aggiungere alle macchine in sequenza folle, l’uso del multi-power. Anche qui l’approccio è infilarsi dentro tale gabbia malefica e fare qualsiasi cosa possibile: petto, deltoidi, gambe. Chiaramente il tutto senza la minima consapevolezza di movimento.

Nel frattempo vedevo allenarsi alcuni ragazzi che svolgevano esercizi atleticamente impegnativi e con carichi di peso considerevoli, esercizi che soltanto in un tempo successivo avrei codificato come panca, squat e stacco da terra. Uno di quei ragazzi che si allenava praticando quegli stessi esercizi era anche un professionista che vedevo lavorare nello stesso luogo come allenatore.

Per me quella zona è zona off-limits, interdetta soprattutto psicologicamente: rimuovere ciò che si ritiene non possa essere alla nostra portata. Così continuo con le mie abitudini: macchine, multi-power e tanti addominali. La base corporea continua ad essere magra, dunque un po’ di tono si vede e a me va bene così.

Dopo settimane noto che mentre la parte superiore del corpo si configura con una minima tonicità, così non è per gli arti inferiori. Le mie gambe praticamente non vengono allenate.

Mi avventuro con accenni di stacchi fai-da-te. Provo ad imitare movimenti. Decido di provare da a fare squat da solo. Lo faccio per tre o quattro giorni. Al quinto mi blocco la schiena: mi sono fatto male. Ecco il primo segnale che qualcosa non va. Torno a casa, avverto dolore alla schiena. Sto fermo una settimana.

Al ritorno in palestra mi convinco di avvicinare quel ragazzo che avevo visto allenarsi e lavorare tanto su panca piana, rack per lo squat, stacchi da terra e trazioni.

Superata l’esitazione, dovuta a più motivi (la durezza degli esercizi con i quali si cimentava, la tecnicità dei movimenti e una fisicità che a me sembrava irraggiungibile), racconto la mia esperienza e la risposta, in primis, è di piena disponibilità all’ascolto. Per prima cosa, dunque, ci facciamo una chiacchierata molto ampia e disinvolta, senza trascurare elementi come abitudini di vita, alimentazione, precedenti infortuni, ambizioni e aspettative.

L’appuntamento è per il giorno successivo: asciugamano e tanta acqua le indicazioni tassative.

Il riscaldamento è fondamentale. Non vedo mai quasi nessuno scaldarsi prima guardandomi intorno. Il riscaldamento che facciamo insieme è “sui generis”, niente corse, niente bastoni dietro le spalle mossi goffamente come fanno in molti, ma mobilità articolare. Si mobilizza tutto il corpo con cura: ogni articolazione dalla spalle alle falangi, passando per gomiti e polsi. Tutto lavoro fondamentale di preparazione al lavoro successivo. Preparare il corpo al meglio, questa è la mia sensazione circa il senso di questa anticamera di allenamento.

Non è facile, lo ammetto. Sono esercizi impegnativi, ed anche un po’ noiosi, ma finiti questi 10-15 minuti mi sento come sciolto, reattivo, per dirla con le parole dell’uomo della strada non addetto ai lavori.

Ci dirigiamo poi verso la panca. Premetto che da qui non ci muoveremo per tutta l’ora successiva. La prima cosa è apprendere il corretto movimento: fare panca non significa stendersi e pompare il bilanciere a casaccio come fanno quasi tutti. La panca è un esercizio di elevatissimo spessore atletico con una sua storia e tradizione.

La questione che concettualmente affrontiamo per prima è l’adduzione delle scapole. Quando si eseguono gli esercizi bisogna cercare di tenere le scapole il più possibile addotte e le spalle basse. E’ un qualcosa che rende l’esercizio molto più duro, ma anche molto più efficace. Tenere giù le scapole non è cosa immediata, bisogna lavorarci molto. Con calma si inizia a provare e riprovare il movimento, prima senza bilanciere e poi con il bilanciere scarico.

Sono molto sbilanciato, già senza nessuna “pizza” sulla sbarra avverto il peso e la difficoltà. L’allenatore segue ogni millimetro del mio movimento, mi corregge. Oltre le scapole addotte sono fondamentali la posizione dei piedi, l’arco lombare, le ginocchia, la testa. Insomma, come si può ben capire, è tutto il corpo ad essere coinvolto in questa esecuzione tecnica, così distante dalle panche comuni che si vedono fare.

Vengo avvisato: come ogni apprendimento anch’esso richiederà ripetizione. Ma tale ripetere sarà premiato da una capacità finale di esecuzione, già in sé obiettivo prestigioso. In più l’efficacia sul lavoro muscolare e nervoso e dunque su forza e tono sarà assolutamente evidente. Differenza e ripetizione, per parafrasare il testo di due famosi filosofi francesi. Ripetere un movimento che è sempre uguale a se stesso e che, al tempo stesso, è ogni volta impercettibilmente non identico al precedente e al successivo. Come ogni rituale, esso richiede ripetizione.

Passiamo poi allo squat. Mettersi un carico sulle spalle non è come alzarlo da terra. Lo squat è un esercizio davvero completo, fondamentale, una scarica metabolica che attraversa tutto il corpo. Le difficoltà inziali sono evidenti anche qui. Una rotazione marcata a sinistra la mia principale criticità. Con occhio clinico l’allenatore nota e si sofferma su ogni minimo dettaglio, per me assolutamente impercettibile, del mio movimento. E’ incredibile: riesce a dedurre, non saprei spiegare come, addirittura un minimo movimento di un dito del piede. Anche qui si comincia con il bilanciere scarico per poi passare gradualmente a carichi bassi che permettano di apprenderne il pattern

Capitolo stacchi. Con gli stacchi - forse per il fatto che si tratta di sollevare un carico da terra piuttosto che metterselo sulle spalle – la mia base di partenza è relativamente migliore rispetto agli altri fondamentali.

Nel tempo vediamo con cura altre esecuzioni: pulley, trazioni alla sbarra, panca Scott, etc.

Ci rivediamo per una dozzina di sedute, il necessario per essere in grado di muovermi con le mie gambe.

Quando ciò avviene la cosa più bella è la soddisfazione del riuscire. Il movimento non è perfetto ma si nota il lavoro fatto. Il mio corpo reagisce bene e anche esteriormente l’efficacia di tali esercizi è palese.

Dunque nessuna costrizione, ma ad oggi la consapevolezza di aver affrontato ciò che prima o poi tutti dovranno affrontare: non si scappa. E se si scappa significa solo che si vuole continuare a scappare, ad aggirare un passaggio obbligato. Certo, è corretto sostenere che l’allenamento non si esaurisce nei fondamentali e che anche altro esso contempla. Ma è incontestabile che senza fondamentali non si andrà mai e dico mai da nessuna parte e questo vale per tutti (chi vuole crescere, chi vuole perdere massa grassa, chi vuole acquisire forza, senza distinzioni di sesso e di età (spesso faccio squat alternandomi con ragazze allenate dallo stesso ragazzo e abbiamo i medesimi carichi) senza includere nell’allenamento glie esercizi di fondamentale completezza non si raggiungerà mai NESSUN risultato. E di questo sarò sinceramente grato a vita a Daniele Baioletti.

Ad ora continuo a darci sotto con il running tre volte a settimana, spesso faccio due sedute di allenamento al giorno, corsa e pesi. Stacco un massimale di 115 kg (poco, certo: ma ricordate il mio obiettivo non è diventare un power-lifter), faccio una panca tecnicamente buona (spesso vedo gente che si ferma a guardare incuriosita dall’impostazione inarcata o dai movimenti di settaggio) con un massimale di 85, lo squat è d’obbligo. “Everyday is a leg day”. Non c’è allenamento in cui non alleno le gambe e vi assicuro che non ho gambe deformi e sproporzionate come pensano molti che evitano di allenarle, ma forti, toniche e definite. Base solida.

Oggi mi metto sulle spalle un carico di squat con disinvoltura, cercando sempre la consapevolezza del gesto e soprattutto senza troppe inibizioni, cosa marcata all’inizio.

Il bilanciere è un oggetto ancora affascinante ai miei occhi, ma di certo sempre più familiare.





Ed ecco a voi il seguito del racconto di Lorenzo, iniziato settimana scorsa. Sperando di fare cosa gradita e sperando che vi possa aiutare a capire quanto sia complesso il corpo umano e di quante cose meravigliose sia capace, vi lascio alla lettura. A presto

By Lorenzo Bruni


Dopo circa dieci mesi di allenamento privo - per mia personale scelta - di programmazione a lungo termine, proseguo con sedute costanti con base costituita da esercizi fondamentali. Miglioro, sia come tecnica che come incremento di forza. Ho anche un buon tono muscolare con massa grassa quasi inesistente.

Durante i mesi di aprile e maggio intensifico le sedute, sia di numero che di volume. Nei primi giorni di giugno, però, inizio ad avvertire un fastidio via via crescente nella zona della schiena.

Sento Daniele e fissiamo un appuntamento, gli spiego il mio problema: si tratta di una serie di contratture "mobili" che hanno interessato soprattutto la zona in mezzo alle scapole. Provo a fare qualche seduta con un mio amico fisioterapista e la situazione migliora, ma solo temporaneamente, con qualche massaggio classico.

L’indicazione che mi dà il coach invece è: guai a fermarti, oggi si fa squat.

Quando circa il 90% degli addetti ai lavori ti avrebbe tassativamente consigliato il riposo, chiaramente frustrante per chi ha certi ritmi di allenamento, in questo caso mi viene indicato di allenarmici sopra, ovviamente in maniera blanda. Guai a fermarsi!

Mi sistemo sotto al bilanciere, il dolore è sopportabile. Facciamo molta compensazione con altri esercizi e con diversi test di movimento. Il giorno successivo la contrattura si è spostata, ora interessa maggiormente il collo. Ci rivediamo il giorno seguente e mi viene applicato del taping, quello strano nastro colorato che molti fanatici si mettono in spiaggia l’estate senza alcuna reale motivazione, solo per pura scena. Anche il taping funziona, il dolore diminuisce ancora una volta e sie si sposta.

A questo punto arriva il bello: “Per risolvere il problema dobbiamo allenare gli occhi”. Questa frase mi suona quasi incomprensibile. Non ho dolore agli occhi, ma alla parte alta della mia schiena! “Alleneremo gli occhi”.

E così è.

Dedichiamo tempo ad esercizi che interessano i movimenti oculari, tecnicamente non saprei descriverli in maniera corretta ed esaustiva. Alcuni sono semplici ed altri più complessi. Sono esercizi numerosi, la cui esecuzione viene sempre accompagnata da test di movimento e di valutazione del dolore. In modo particolare ne ricordo alcuni per il VOR-riflesso vestibolo oculare.

Mi faccio illustrare nuovamente tutti gli esercizi in modo tale da poterli ripetere a casa e durante gli allenamenti, anche tra le serie. Mi applico, faccio gli esercizi con regolarità e anche con qualche disagio in pubblico, dato che sono movimenti a tratti anche buffi da eseguire. Avverto miglioramento alla schiena. Continuo a fare esercizi di compensazione e allungamento a completamento.

Dopo circa dieci giorni dall’ultima seduta, grazie ai nuovi esercizi prescritti, riesco finalmente a tornare quasi a regime, scongiurando definitivamente l’ansia e il turbamento dell’allontanamento dall’allenamento quotidiano. Il problema mi aveva afflitto per più di un mese ora riesco a tirare un sospiro di sollievo. Da allora non ho più avuto problemi, ammetto che gli esercizi non li faccio così spesso, ma appena avverto un accenno di fastidio li associo sempre allo stretching, facendoli anche a casa lontano dallo sforzo fisico.

L’esito positivo mi ha spinto a consigliare lo stesso metodo e lo stesso allenatore ad amici con sofferenze di diverso tipo ed origine. “Provate, sentite anche questa campana, fidatevi”. Il risultato è stato positivo, con sollievi notevoli ed immediati.

Il senso comune è irrinunciabile, ci aiuta a orientarci con facilità in scelte quotidiane che altrimenti ci occuperebbero troppo tempo ed energia. Al tempo stesso, esso deve essere forzato e sottoposto ad esercizio critico per produrre cambiamento. Detta in altre parole: se un tempo mi avessero suggerito di mettermi sotto squat con una contrattura ai romboidi avrei borbottato qualcosa ed avrei girato i tacchi.

In quel caso ho forzato con spirito critico il mio senso comune consolidato ed è stata una riflessione vincente.

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